Germania, Berlino – campo di concentramento di Sachsenhausen
Avanzano i passi. Uno dopo l’altro, procedono lenti, come noi fossimo automi, pesanti come macigni.
Solcano senza averne diritto la terra brulla già camminata dai corpi straziati dal Dramma.
E, a ogni passo, lo stomaco brucia e, dentro, cresce un po’ il Male.
Un Male che ammutolisce la voce, e cambia l’inclinazione al sorriso, e stride con il sole che splende nell’azzurro di un cielo terso di un agosto di ferie.
Soffia, tiepido, il vento di una estate che qui mai sarà. Alito di Dolore che Resta, nel silenzio di un orizzonte tagliente come lama appena affilata.
Mai nate, le foglie da far danzare, in questa terra malata di follia senza nome.
La voce muta di chi ha percorso chilometri attorno a questa distesa di cemento, camminando in scarpe troppo strette per piedi già troppo esili riporta, distaccata, di ogni angolo di quest’oltretomba lugubre. Fredda. Robotica. Cronaca inascoltabile. Resoconto a cui la mente nemmeno saprebbe pensare.
Diventato ruggine, il ferro. Non ossidano i Ricordi, a contatto con l’aria macabra di una Storia senza rimedio. Senza ritorno. Senza ragione. Senza parole.
Inadeguata, ogni cosa.
Siedo al limite di un masso, in un angolo dell’ade che è questo posto, per non disturbare. Insufficienti, le lacrime. Mai abbastanza, il rispetto per chi ha vissuto l’Orrore.
Fuori luogo, il sole.
Inadatto, l’azzurro del cielo.
Di troppo, queste distese di erba perfettamente tagliata.
All’inferno, niente merita d’essere buono. D’avere un alcunché d’allegria, oltre le grate di questo cancello. Oltre questa scritta orMAI arrugginita.
Si stende, macrabra, una tetra coperta. È madida e sudicia. Come cagna malata di rabbia, stride acuta e digrigna i denti, e raschia e graffia. E punge la pelle come spazzola irsuta e puzza di morte.
Si poggia, grave e perversa, su questa fossa sconfinata. Piaga mai chiusa, continua a purgare dolore.
E spira, dal cielo, plumbeo di pesante memoria, un vento che Grida su Sachsenhausen.
Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario [Primo Levi]
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